Le gare d’appalto nella storia: il pane a Milano nel 1370
2 settembre 2020| Michele CasanovaIn passato le gare d’appalto funzionavano allo stesso modo? Che problemi potevano sorgere? Vi siete mai chiesti questa cosa? Beh, noi sì.
Per questo oggi approfondiremo meglio un capitolo della storia molto interessante e andremo ad esaminare una gara d’appalto problematica nella Milano medievale.
Un passo indietro nel tempo
Secondo quanto riportato da Bernardino Corio, nel 1370 la Lombardia fu colpita da una grave carestia e il prezzo del grano di Parma arrivò fino a due lire (cioè 40 soldi) per staio [Corio 1978, p. 831].
Lo staio è un’unità di misura di capacità per aridi, usata in Italia prima dell’adozione del sistema metrico decimale, con valori diversi da luogo a luogo: per es., valeva in Toscana 24,36 litri; a Casale Monferrato 16,16 litri; a Forlì 72,16 litri; a Milano e a Novara valeva 18,27 litri
Poiché un’altra fonte indica che nel 1374 il prezzo del grano in Lombardia in generale non superava i 10 soldi per uno staio [Chronicon Placentinum 1730, col. 520], l’incremento di prezzo segnalato dal Corio appare assai rilevante.
Tra le conseguenze di questo improvviso aumento, sono di particolare interesse i documenti relativi all’appalto del pane bianco a Milano del 1370, che mostrano una completa revisione delle norme che regolavano il costo del pane.
Aspetti metrologici
A Milano il valore dei beni era indicato in lire, suddivise in 20 soldi; un soldo era suddiviso a sua volta in 12 denari. Si distinguevano inoltre i valori in lire, soldi e denari imperiali e i valori in lire, soldi e denari di terzoli; i valori “imperiali” avevano valore doppio rispetto a quelli “di terzoli”.
I pesi erano stabiliti in once, dove un’oncia era pari a 27,23 grammi; i suoi multipli erano la libbra sottile (12 once, circa 327 grammi) e la libbra grossa (28 once, circa 763 grammi). Per il pane era usata la libbra grossa.
Per la farina si utilizzava come unità di misura il moggio, suddiviso in 8 staia. In origine il moggio era un’unità di misura di capacità e corrispondeva a due terzi di un braccio cubo (circa 140 litri) [Guerrino 1800, pp. 285-286]; per facilitare i controlli però era stabilito un valore arrotondato di peso che variava a seconda di ciò che veniva misurato.
Un moggio di farina di grano corrispondeva a 132 libbre (circa 101 Kg) e uno staio a 16,5 libbre (circa 12,5 Kg); un moggio di farina di mistura a 120 libbre (circa 92 Kg) e uno staio a 15 libbre (circa 11,4 Kg) [Doc. 1391 ott. 21].
Il pane di mistura
Il pane di mistura era il pane più comune, acquistato principalmente dai più poveri. Poteva essere realizzato con segale e con miglio in parti uguali oppure con un terzo di segale e con due terzi di miglio [St. Milano 1396, c. 246v].
I panettieri realizzavano due tipi di pane, “a peso” (ad pensam) oppure “a staio” (ad starium).
Ogni pane “a peso” aveva un prezzo fisso di uno o due denari di terzoli. A seconda del valore della farina era stabilito il peso di ogni pane con una semplice proporzione, in modo che a parità di peso la farina e il pane avessero lo stesso prezzo.
La corrispondenza tra il valore della farina e quella del pane era dovuta al fatto che non era previsto alcun compenso per il panettiere o l’appaltatore, trattandosi del pane destinato ai più poveri.
Un compenso era invece previsto nel caso del pane “a staio”: se il cliente forniva uno staio di farina di mistura (420 once) oppure se pagava il prezzo equivalente, poteva ottenere dal panettiere 12 pani da 30 once oppure 30 pani da 12 once [St. Milano 1396, c. 245v]; le 60 once di farina di differenza costituivano il pagamento al panettiere.
Questo tipo di pane poteva essere fatto solo su ordinazione, i panettieri dovevano, quindi, consegnarlo al cliente appena cotto e non potevano tenerne in casa [Doc. 1386 ott. 29; St. Milano 1396, 246r].
Nel 1388 molti cittadini e soprattutto poveri si lamentarono con l’amministrazione perché i panettieri non facevano pane “a peso”, ma solo “a staio” per avere maggior guadagno; fu perciò emanato un provvedimento per ribadire l’obbligo di tenere sempre a disposizione pane “a peso” pronto da vendere [Doc. 1388 dic. 2].
Sempre per i più poveri era prevista la possibilità di farsi cuocere il pane fatto in casa pagando 6 denari per uno staio di pane di mistura [St. Milano 1396, c. 249r].
Il pane bianco
Nelle norme milanesi il pane bianco, realizzato con farina di grano, appare venduto quasi solo nella modalità “a peso” secondo un apposito elenco stabilito dall’amministrazione comunale; nel 1332 si trova infatti indicazione che solo il prestino “dei Rosti” poteva realizzare pani di peso arbitrario e venderli presso il Broletto con un’apposita insegna [Doc. 1332].
Si ha un elenco del 1355 che indica il peso del singolo pane da due denari imperiali al variare del prezzo della farina tra 18 e 80 soldi imperiali per moggio [Doc. 1355 mar. 28]. In questo caso non si trattava di una semplice proporzionalità inversa, dato che era garantito un margine di guadagno ai panettieri. A partire dall’elenco è possibile calcolare il valore di un moggio di pane in relazione al valore di un moggio di farina.
Il grafico della differenza tra il prezzo del pane e il prezzo della farina mostra un valore di circa 40 soldi (due lire) per ogni moggio quando il prezzo della farina era compreso tra 20 e 40 soldi per moggio; se la farina aveva un valore superiore ai 40 soldi per moggio la differenza diminuiva fino a 30 soldi per moggio, forse per avvantaggiare i consumatori in tempi di crisi.
Negli statuti di Como del 1335 si trova indicazione che questo tipo di maggiorazione era considerata come compenso per il lavoro del panettiere e per l’affitto del forno e per ogni altra spesa, comprese la legna, la crusca e l’olio [Manganelli 1957, p. 35].
La gara d’appalto del 1370
Come detto, il Corio riportò notizia di una carestia in Lombardia nel 1370 con notevole aumento del prezzo del grano. Aumentò anche il prezzo della farina, superando l’importo di 80 soldi per moggio (10 soldi per staio) che era considerato come valore massimo dall’elenco del 1355; la gara per l’appalto del pane andò perciò più volte deserta perché i panettieri si lamentavano di aver già dovuto lavorare in perdita [Doc. 1370 giu. 26]; evidentemente, in mancanza di un guadagno certo, nessuno intendeva assumersene il rischio.
A giugno fu redatto un nuovo elenco ritoccando i valori del 1355 e stabilendo il peso del pane per valori della farina tra 74 e 254 soldi per moggio.
Come incentivo per riuscire ad avere almeno un’offerta, per il solo anno 1370 furono anche ridotti di un quarto di oncia i pesi per singolo pane sopra gli 80 soldi per moggio, in modo da aumentare ulteriormente il guadagno dell’appaltatore.
Anche in questo caso è possibile rapportare il prezzo di un moggio di pane al prezzo F di un moggio di farina.
Da un esame della differenza tra il prezzo del pane e il prezzo della farina, si nota che per F fino a 120 soldi per moggio nell’elenco normale era previsto un valore di circa 40 soldi per moggio; per F sopra i 120 soldi per moggio il valore cresce fino a raggiungere i 160 soldi per moggio.
Il seguente grafico mostra la variazione del prezzo in caso di aumento di 20 soldi per moggio del prezzo della farina.
A partire da 150 soldi per moggio si aveva un valore di più di 40 soldi per moggio, fino a raggiungere i 60 soldi per moggio. Veniva così invertita la tendenza stabilita nell’anno 1355 per cercare di contenere il prezzo del pane a vantaggio dei consumatori.
L’appalto fu aggiudicato all’inizio di luglio per 24000 lire di terzoli, ma solo dopo che l’amministrazione comunale accordò ulteriori concessioni ai partecipanti, comprese alcune modifiche alle modalità di verifica del pane e la garanzia del pagamento mensile per il pane fornito per l’esercito milanese [Doc. 1370 lug. 3].
Fonti
- Doc. 1332 in Biblioteca Nazionale Braidense (BNB), codice Morbio 100/25, Per la meta del pane, c. 38v.
- Doc. 1355 mar. 28 in BNB, codice Morbio 100/25, Per la meta del pane, c. 3rv. Altra copia dovrebbe essere disponibile anche in Biblioteca Ambrosiana (BA), G 53 suss., Per la metta del pane. Milano 1331-1516. Un estratto si trova in Archivio di Stato di Milano (ASMi), Governatore degli statuti, reg. 1 (A), cc. 230v-231r [469-470]; Archivio Storico Civico di Milano-Biblioteca Trivulziana (ASCMi-BT), Dicasteri 217/1, carte finali capovolte. Regesti in Ferorelli 1920, p. 15, num. 288; Santoro 1929-1932, p. 482, num. 102.
- Doc. 1370 giu. 26, disponibile in almeno tre copie: ASMi, Governatore degli statuti, reg. 1 (A), cc. 231r-232r [470-472]; ASCMi-BT, Dicasteri 217/1, carte finali capovolte; BNB, codice Morbio 100/25, Per la meta del pane, cc. 21r-24r. Altra copia dovrebbe essere anche in BA, G 53 suss., Per la metta del pane. Milano 1331-1516. Regesti in Ferorelli 1920, p. 15, num. 289; Santoro 1929-1932, pp. 481-482, num. 99.
- Doc. 1370 lug. 3 in ASCMi-BT, Dicasteri 217/1, carte finali capovolte. Regesto in Santoro 1929-1932, p. 482, num. 103.
- Doc. 1386 ott. 29 in ASCMi-BT, Dicasteri 217/1, c. 47rv. Regesto in Santoro 1929-1932, p. 445, num. 36.
- Doc. 1388 dic. 2 in ASCMi-BT, Dicasteri 217/1, c. 138v. Regesto in Santoro 1929-1932, p. 469, num. 83.
- Doc. 1391 ott. 21 in ASCMi-BT, Dicasteri 217/2, c. 53r-54r. Regesto in Santoro 1929-1932, pp. 498-499, num. 49.
- St. Milano 1396 in ASCMi-BT, cod. B2, Statuta Mediolani.
Bibliografia
- B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, vol. I, Torino, 1978.
- Chronicon Placentinum ab anno CCXXII usque ad annum MCCCCII, in Rerum Italicarum Scriptores, vol. XVI, Milano, 1730.
- N. Ferorelli, I registri dell’ufficio degli statuti di Milano, Milano, 1920.
- T. Guerrino, Euclide in campagna, Milano, 1800.
- G. Manganelli (a cura di), Statuti di Como del 1335. Volumen magnum, tomo III, Como, 1957.
- C. Santoro, I registri dell’ufficio di provvisione e dell’ufficio dei sindaci, Milano, 1929-1932.
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