Il public procurement come leva di politica industriale
29 settembre 2020| Silvia SannaIntervista a Guglielmo de Gennaro, membro dell’Area Innovazione della Pubblica Amministrazione di AgID,
Il public procurement e gli appalti della Pubblica Amministrazione, soprattutto in un periodo di emergenza come questo, sono e devono essere visti come uno strumento per rilanciare l’economia del Paese, secondo Guglielmo De Genaro di Agid, dell’Area Innovazione della Pubblica Amministrazione.
Quale dovrebbe essere, nel contesto attuale, il modo migliore per approcciare gli appalti della PA e generare valore?
Il public procurement è indubbiamente una leva di politica industriale importantissima, e in questo momento di rilancio è fondamentale partire da questo strumento per riavviare l’economia italiana.
Ci si pone, ovviamente, il dubbio sull’efficacia di questo particolare strumento, in quanto l’esperienza insegna che non sempre si riescono a produrre gli effetti economici sperati quando si intraprendono queste strade in ragione delle vicende che affliggono i processi di acquisto.
Ultimamente si è parlato tanto di semplificazione delle procedure e, con gli ultimi Decreti Legge e le loro Leggi di conversione, si sono apportate delle novità all’interno del Codice dei Contratti Pubblici che vanno in questa direzione. Personalmente penso che, a latere di questo importante passo, si debbano fare ragionamenti diversi.
Infatti, le problematiche che attingono le gare d’appalto e quindi gli effetti che da esse si vuole ottenere in termini di politica industriale, non sono legate solo e tanto alla complessità e alla durata naturale delle procedure, quanto alla fisiopatologia del public procurement in sé e, in particolare, nel rapporto che si instaura tra il soggetto pubblico e il soggetto privato.
C’è una sorta di antagonismo tra le due parti che, spesso e volentieri, porta a contenziosi e contrapposizioni, che nascono, tendenzialmente, per la scarsa ed inefficace comunicazione tra di esse, e che vanno a incidere sulle tempistiche di aggiudicazione ed esecuzione della gara d’appalto.
A mio giudizio bisognerebbe agire soprattutto su questo elemento, il rapporto tra soggetto pubblico e soggetto privato, rendendolo più leale. Per raggiungere tale risultato è possibile utilizzare strumenti che già sono presenti nella cassettina degli attrezzi del public procurer, come, ad esempio, la consultazione di mercato.
Attraverso questo istituto e l’approccio ad esso sotteso si riesce a dar vita a un dialogo tra gli operatori economici e la Pubblica Amministrazione atto a dimostrare che quello che si intende instaurare è un percorso di partnership virtuale e virtuosa che, in ottica win-win, permetta di qualificare la domanda pubblica tramite la conoscenza reciproca e in ragione delle chances di ottenere un’offerta efficace.
Perché penso che sia importante questo strumento? La Pubblica Amministrazione tendenzialmente ha una conoscenza del mercato e dell’offerta limitata alle soluzioni mature che abitualmente adotta ed ha una scarsa abitudine a ricercarne di altre; al contempo gli operatori non conoscono realmente i fabbisogni sottesi alla domanda espressa e si limitano a rispondere ad essa seguendo logiche commerciali e non di efficace soddisfacimento del cliente. Attraverso la consultazione di mercato ed il dialogo che con essa si viene ad innescare, però, questa asimmetria informativa bilaterale verrà eliminata permettendo agli operatori di capire il reale fabbisogno della PA ed a questa di conoscere le risposte del mercato potenzialmente più idonee, soluzioni che potranno così essere “confezionate sartorialmente”.
Tutto questo richiede indubbiamente un cambio di mentalità non facile ma che è sicuramente il primo passo da fare perché gli appalti diventino realmente una efficace ed efficiente leva di politica industriale capace di generare valore e non solo spesa, in quanto gli acquisti della PA così condotti stimolerebbero il mercato ad innovarsi esprimendo le intrinseche potenzialità ad esso proprie che in tal modo renderebbero in gli operatori estremamente più competitivi, non solo sul mercato interno ma anche in quello internazionale.
In questo contesto dove si inserisce il Progetto Smarter Italy e con quale obiettivo?
Il Programma Smarter Italy, del Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero dell’Università e della Ricerca e del Dipartimento per la Trasformazione digitale, attuato da AgID ha cercato di rendere strutturale e armonico questo processo verso il cambiamento.
Il nostro lavoro vuole essere il punto di partenza e non il punto di arrivo del percorso; si tratta di un progetto partito ancora prima della pandemia, ma che ritrova in essa la conferma degli obiettivi che ci eravamo prefissati quando abbiamo iniziato a lavorarci.
In particolare, il progetto parte dagli appalti di innovazione per divenire dimostrazione della bontà di quel paradigma divergente a cui ho fatto riferimento nella domanda precedente, ovvero un paradigma di dialogo e di confronto costante.
In sintesi quello che stiamo sperimentando è una declinazione dell’Open Innovation all’interno del framework normativo degli appalti pubblici che, se volessimo utilizzare un neologismo, potremmo chiamare Open Procurement, che fa della trasparenza e della pubblicità, principi spesso avvertiti come meri oneri dagli acquirenti pubblici, cardini della creazione del valore aggiunto della procedura.
Obiettivo del Programma è quindi quello di rendere strutturali al mercato le competenze che esso esprimerà attraverso lo stimolo esercitato da una Pubblica Amministrazione che così non solo sarà al passo con i tempi ma anche, se vogliamo, un passo avanti divenendo early adopter di soluzioni innovative secondo i principi dell’Economia dell’innovazione di cui lo Stato Innovatore è attore protagonista.
Le aree di intervento del Programma attualmente sono tre ma coinvolgono in maniera trasversale i bisogni di rilancio dell’economia italiana e di miglioramento della qualità di vita dei cittadini:
- Smart Mobility con l’obiettivo di apportare un miglioramento sostanziale dei servizi per la mobilità di persone e cose nelle aree urbane;
- Cultural Heritage per una migliore e maggiore fruizione del patrimonio diffuso di rilevanza storica, artistica e culturale;
- Wellbeing per agire direttamente sul benessere complessivo dei cittadini.
Quali saranno gli sviluppi futuri per questo progetto?
In questo momento stiamo parlando di un Programma che ha un inizio e una fine, ma stiamo proseguendo lungo la strada del coinvolgimento, della partecipazione, del networking al fine di rendere strutturale l’azione. Quello che finora è stato realizzato è l’ecosistema che fin dal 2012 il Legislatore aveva preordinato, affinché il Paese si dotasse di una sinergica azione di Governo votata all’innovazione.
In questo momento stiamo rendendo partecipi dell’azione gli stakeholders istituzionali interessati per competenza sulle tematiche individuate dal Programma; per fare un esempio, prendendo in considerazione l’area di intervento sulla valorizzazione dei beni culturali, a breve verrà istaurato un tavolo di lavoro con il MIBACT.
È in fase di redazione, al contempo, un regolamento che permetterà a tutti i soggetti pubblici di aderire all’accordo di Programma in qualità di cofinanziatori e ciò tenuto conto dell’interesse e della volontà già espressa da numerose Pubbliche Amministrazioni e imprese pubbliche.
Ovviamente, quanti più soggetti verranno coinvolti nel Programma, più la contaminazione delle idee a cui facevo riferimento si diffonderà nel settore degli appalti pubblici rendendo possibile il reale cambiamento a cui l’approccio professato tende.
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